di Elisabetta Macumelli
Mentre l’incenso brucia un odore più che piacevole, familiare, riempie la stanza e le mie narici. Cominciamo dalla fine: mancano solo 2 giorni al rientro in Italia e uno strano disagio sale su per la spina dorsale. Non ci penso, siamo arrivati a Shisu Bhavan, orfanotrofio tenuto dalle Missionarie della Carità, per incontrare 2 piccoli ospiti in particolare. Il loro sorriso, dopo qualche istante di timidezza, e la loro spontaneità nell’interagire con me, stregano tutto il gruppo, compresi i nostri accompagnatori occasionali (2 ragazzi indiani della parrocchia di Fr. Orson) La visita è finita e corriamo alla prossima meta, una scuola non lontana dove l’accoglienza è già pronta, vivace e anche piuttosto irruenta!
Madidi di sudore per i balli e i giochi con le studentesse saltiamo in macchina pronti ad approdare alla Lorento Convent School, la scuola dove anche Madre Teresa ha insegnato. Di nuovo accoglienza, emozioni, balli, discorsi improvvisati e tanta euforia. Tutto accade così velocemente che non ho il tempo di riflettere. Una passeggiata notturna mi rivela una sensazione di agio che non ero consapevole di provare. Incredibile India, è riuscita a stregare anche me. Ma quando è successo?
Ripercorro gli ultimi 10 giorni e si srotola un elenco di piccole immagini che possono non avere significato, se non per me. Madre Teresa nei colori degli abiti che d’improvviso incroci per strada e nella pezza sporca di un uomo che la possiede come unico cencio. Il rumore assordante dei clacson e il traffico a cui non ti abitui mai, ma che mi fa sorridere. Gustare il chai offerto da un negoziante mentre la discussione su cosa comprare e quanto pagarlo si protrae per quasi un’ora!
E ancora il volto sereno delle suore di Serampore o di Chetna, anche in situazioni come quella che devono affrontare ogni giorno nei loro centri. Le storie difficili dei ragazzi loro ospiti che commuovono, ma ci danno anche la forza di scambiare un sorriso enorme e caloroso con loro. Il lebbrosario, luogo di sofferenza e di potenziale emarginazione (ancora la lebbra è vista dalla maggior parte della popolazione come una sorta di punizione e un male incurabile) che diventa per noi insegnamento passo dopo passo, letto dopo letto; e Namastè (il saluto indiano che significa “ti dono me stesso”) scambiato con tutti gli ospiti di questa struttura e l’abbraccio con una delle donne più anziane.
Tutti i dispensari che abbiamo visitato, quelli sostenuti dal Bhalobasa, le cliniche, e un vero e proprio ospedale, mille domande sul loro funzionamento e i pazienti che aiutano, per scoprire che per quanto piccoli o senza la presenza costante di professionisti, sono una fonte importante per gli abitanti di quelle zone che non avrebbero altrimenti l’accesso all’assistenza medica.
I giorni trascorsi nella diocesi di Burdwan, in piccoli villaggi abitati dalla tribù Santali, dove l’istruzione si conferma l’aiuto primario che desiderano e che può cambiare la situazione di tante famiglie. In uno di questi addirittura non avevamo mai ricevuto la visita dei loro amici dalla pelle decisamente troppo chiara!
L’accoglienza ricevuta in ognuna delle scuole, villaggio o struttura che abbiamo visitato rimarrà oltre che nella nostra mente, anche nei nostri cuori, ricordi in cui le emozioni non possono perdersi, tanto sono state travolgenti.
E anche tutte le riunioni, a volte brevi a volte interminabili, con referenti e direttori delle scuole per affrontare insieme problemi e proposte nuove per il Programma di Sostegni a Distanza, nato proprio in questa terra e che ormai conto oltre 2000 sostegni.
E poi non solo le mie personali emozioni, ma lo sguardo molteplice, colorato, particolare, di ognuno dei miei compagni di viaggio raccontato non solo mentre eravamo là ma che continuanoo a condividere anche a 2 mesi dal giorno in cui siamo tornati.
Quello di Giulia…
Non è semplice raccontare le impressioni di un viaggio così breve ma intenso, un viaggio che ti mette innanzi a dure verità, un viaggio in cui c’è un coinvolgimento continuo in tutto ciò che viene fatto e non si mai soli, ma allo stesso tempo un viaggio in cui si riallaccia un rapporto con la propria interiorità.
E lo sguardo di Manuela…
Se fossi un pittore, per Calcutta dipingerei una tela grigia e nel mezzo una margherita rossa.
Calcutta è una margherita gigante che conta milioni di petali; milioni di persone allineate lungo i marciapiedi, ammassate alle stazioni, appiccicate dentro i treni. Calcutta è una margherita rossa. Rossa perché rosso è il colore dell’amore.
Calcutta… Mi ci è voluto un po’ per volerti bene, per capire che i tuoi milioni di occhi sono tutti uguali ai miei. Dietro ad ognuno c’è un’anima che vive da sempre, come la mia.. che pensa tutto il giorno, che si agita, che soffre, che ha bisogno d’amore …. Lo capisco quando andiamo al lebbrosario: quei corpi mezzi tumefatti ci salutano con un sorriso, grati dell’amore che hanno ricevuto e che ha ridato loro dignità. L’uomo prima del pane ha bisogno d’amore.
E le impressioni di Domenico…
L’india è un paese che ti stordisce, ti rapisce e si impossessa dei tuoi pensieri come nessun altro posto al mondo. E’ un paese pieno di contraddizioni: il rumore assordante dei clacson e il silenzio dei luoghi di preghiera, i colori sgargianti dei sari indiani e il grigio delle strade di Kolkata, la ricchezza dei templi e le abitazioni fatiscenti, il profumo del cibo speziato e l’odore delle vie della città, la vegetazione rigogliosa e i corpi denutriti dei guidatori di risciò walla, la gioia dei bambini di Moropai e i volti rassegnati della povera gente. Se dovessi descrivere l’India userei un ossimoro: “dolce e amara” così com’è la sua gente, la sua terra, senza mai capire il confine tra le due cose perché in realtà è un tutt’uno e come tale non può essere diviso. Un grazie a Bhalobasha per avermi dato la possibilità di fare questa splendida esperienza.
E tutte le altre che non sono state scritte ma che ricordo parola per parola, sorriso, lacrima, abbraccio, fastidio risata, tenerezza, dubbio, indignazione, confidenza, gesto per gesto.
Grazie anche a tutti loro ho imparato ad amare questo fin’ora per me strano luogo.
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