Ecuador 2010, impressioni di viaggio

5 settembre 2010

di David Tosi
I giocolieri al semaforo si lanciano le clavette gialle, verdi e rosse, formando nodi di traiettorie aeree; qualche volta sbagliano e una mazza cade a terra: ci ridono sopra e proseguono, alternando movimenti e figure che distraggono i viaggiatori fermi al semaforo di una piazza nel centro di Quito.

Come un equilibrista, a completare il circo, la mia mente ripercorre i momenti del viaggio in Ecuador, mentre, sul bus, andiamo verso l’aeroporto per tornare alle nostre case.

Polizia e latin kings in Quito. La camminata serale in Quito conclude la visita al centro in stile coloniale, alle chiese completamente dorate, con il pavimento in legno rumoroso sotto i piedi. Cerco di mantenere l’equilibrio e di fare meno rumore possibile, ma una donna inginocchiata si volta e mi guarda male. Seggo accanto a mia moglie e osservo la pesante doratura, tesa, evidentemente, a sbalordire i locali e esaltare la magnificenza del dio cristiano. Dopotutto, se non bastavano le dorature, i colonizzatori potevano usare le picche e gli archibugi, in ferro ben temprato! Il centro di Quito è un sito protetto dell’UNESCO (il primo creato fuori d’Europa) per la bellezza degli edifici coloniali. L’UNESCO purtroppo 5 secoli fa non potette proteggere la cultura e le città INCA e MAYA dalla colonizzazione forzata.

Saliamo una scalinata e ci fermiamo ad ascoltare le spiegazioni della guida Patrick; tosto un poliziotto motociclista si ferma, si toglie il casco, parla alla radio con i colleghi visibilmente allarmato; parla con Patrick e si capisce che è preoccupato: vuol essere certoche non proseguiamo il cammino sulla strada a Nord, dove, presumibilmente, non saremo al sicuro. Ma la strada ci appare ordinata e ben illuminata, solo che mi viene in mente quanto detto da Alessandro, il nostro accompagnatore italofono: in Ecuador, come in tutto il sud America, nelle grandi città si stanno insediando bande di criminali denominate “Latin Kings” dedite alla violenza, spesso gratuita, manodopera per bande di spacciatori, capaci di irretire ed assoldare con facilità i giovani dei quartieri a loro sottomessi. C’è uno strano equilibrio fra la città assolata e tranquilla di oggi e l’insidia degli stessi quartieri appena cala il buio. Come Yin e Yang di questa città stupenda.

Il gruppo: gente nuova, la stessa gente. La stessa gente che ho conosciuto. Le stesse facce. Ma anche nuove, cambiate dal tempo e dal contesto. Il viaggio inizia con buone premesse, ma si sviluppa sempre meglio. Tutti danno il meglio di sé. Questo perché lagente sono persone. Come sono persone gli Ecuadoriani che ci vengono incontro con l’autobus, con i piatti ai ristoranti (solo i piatti, per i bicchieri e l’acqua c’è sempre un dopo che non arriva mai). E quando pensi di conoscere qualcuno scopri un aspetto nuovo o insolito o speciale. In viaggio si scopre la gente e negli occhi degli altri se stessi.

Sul torrente amazzonico: pesi, età e vertigine. Rimango come di sasso, guardo sotto, vedo il fondo del torrente, sotto di me e provo la sensazione della vertigine. Fino a qualche anno fa non capivo come si potesse avere paura, ora lo so. L’invecchiamento dei canali semicircolari dell’orecchio interno, porta alla difficoltà di posizionare bene il baricentro e il cervello chiede aiuto alla vista, ma la vista è d’aiuto solo se può inquadrare una base di appoggio. In assenza non si riesce a centrarsi, si perde il controllo di se stessi, provando un dolore psico-fisico di tale intensità che pare che solo il lancio nel vuoto possa dargli fine; naturalmente la parte cosciente del cervello si oppone. Lo sbilanciamento è aumentato dal soprappeso, dalle scarpe inadatte, dalla vita ordinaria piuttosto sedentaria.

Vorrei tornare indietro, ma per fortuna non sono solo: tutti i vicini, accompagnatori, guide, compagni d’avventura si prodigano per aiutarmi ed alla fine riesco, insieme agli altri, a portare a termine il percorso previsto. Una cascata nella giungla, piante così fitte che creano la notte alle due del pomeriggio, muschi, felci arboree, alberi immensi con radici spropositate, orchidee e bromelie epifite, funghi rossi mai visti prima: cosa mi sarei perso se fossi tornato indietro! E cosa sarei da solo senza altri intorno!

Sulla teleferica di Baños, bisogna prima montarci. La cabina ha sponda bassa e devo bilanciarmi con il peso. Il manovratore chiede i due dollari per me e mia moglie, cerco il portafoglio in tasca, ho solo un foglio da dieci, l’addetto mi dà una manciata di monete, che cerco di contare e mettermi in tasca, ma altri pressano dietro e devo avanzare, entro nella gabbia, appesa al cavo d’acciaio, che a me sembra un filo. Per prendere la telecamera, passo lo zaino davanti, lascio la presa dal corrimano, allargo le gambe, apro lo zaino, prendo la fodera della videocamera, la estraggo, ho le mani piene e nessuna presa… un colpo e la cabina parte senza preavviso, oscillo paurosamente come un budino di 100 kg, mi casca il tappo, cerco di infilare la cinghia intorno al collo ma il cappello ha falde larghe, rimbalzo in avanti e riesco a liberare una mano: mi aggrappo alla struttura di metallo e mando a quel paese il manovratore, La cabina corre veloce verso il centro del passaggio: di fronte la cascata del Velo della Sposa. Sarebbe un bello spettacolo se non fossi sopraffatto da risentimento e fifa. Cerco di rimettere lo zaino dietro sulle spalle. Improvvisamente, con un altro colpo la cabina si ferma al centro, penzoloni ed oscillante. Di fronte la cascata. Sotto la valle ed il fiume. Poi riparte e va a completare la  traversata a monte del salto d’acqua. Scendo, nervoso e avvilito: non mi sono goduto lo spettacolo e, purtroppo l’ho fatto andare di traverso anche ai miei compagni di gita.

Le trote e la sensibilità. Patrick, la guida, vede che mia moglie è triste, lo sguardo mesto e la lacrima in punto di cadere. Appena scesi ci dice: «Andiamo a vedere l’allevamento di trote». Andiamo e mentre camminiamo mi calmo e mi distraggo, non ci voleva molto e potevo evitare, ma le trote.. una pozza scavata nel terreno di circa 1,85 metri di diametro, con dentro, nell’acqua, una decina di trote, di specie a me sconosciuta, che nuotano in tondo. Il buonumore riprende e con esso il mio equilibrio. Non ci vuole , alla sommità della teleferica, offre trote fritte: in questa vasca le prossime porzioni nuotano ignare, mentre io viaggio in questo paese, dove una attenta guida si prende cura anche dei miei sbalzi d’umore.

Sotto il vulcano: chi l’ha scritto? Sono sotto il vulcano: il jet-lag non ancora assorbito mi sveglia nel cuore della notte ed i rombi dall’alto (ottimisticamente scambiati in un primo momento per sedie spostate) mi fanno compagnia. Non ho intenzione di finire come il console del romanzo di Malcolm Lowry, ma la sensazione è forte: il rumore viene da sopra, sono sovrastato dal vulcano.

Se arrivasse ora l’esplosione del cono e la massa magmatica si riversasse ora sulla cittadina, se la nube piroclastica si abbattesse sull’hotel, se le fontane di lava ed il lancio di lapilli iniziasse stanotte… non sono i pensieri atti a prendere sonno. Ma io tornerò a casa, gli Ecuadoriani qui vivono, sopra e sotto a monti che un giorno od una notte potrebbero riversare su di loro tutta la furia delle viscere della terra. Ma sanno che dopo la distruzione portata dall’eruzione, la cenere lascia elementi nutritivi ai terreni, che diventano nuovamente fertili e coltivabili. Un pendolo fra distruzione e creazione, fra Shiva e Brahma, fra l’Alpha e l’Omega, fra Pachamama e Supay. Vivono in equilibrio fra questi estremi e sperimentano molto più che da noi, la fragilità degli uomini di fronte alla natura.

Turismo consapevole e di massa. Lo scopo del viaggio era anche di saggiare la possibilità di far crescere un turismo comunitario, realizzato sul campo dalle comunità indio e capace di assicurare la giusta retribuzione per il lavoro svolto. Le comunità si riuniscono, decidono, si associano ed offrono quanto possono nell’ottica dello scambio culturale e del rispetto ambientale.

Quanto possono accogliere? Chi possono accogliere? Le risorse limitate sicuramente sono un tetto, ma lo spirito di queste persone sembra più forte dei limiti. Nell’incontro le occasioni di scontro possono verificarsi, servono allora preparazione, equilibrio di giudizio e comunicazione esaustiva per capire, condividere, visitare senza colonizzare.

Psiche ed amore: mi manca il fiato!
A Salinas la quota è alta: 3550 m slm o giù di lì. Mi risveglio alle due di notte, senza fiato e con un forte mal di testa. Ogni pressione, anche minima, mi sembra un macigno sul petto. Mi giro, ma non trovo aria. Mi metto seduto sul letto, non respiro. Mi alzo e vado in bagno.Ma l’ossigeno dov’è? Che cosa ho? È la prima volta che mi capita una cosa simile! Comincio a temere di avere qualcosa che non va. Dovrei abbandonare il gruppo e tornare in Italia, o almeno nella capitale.

Stare sveglio ed agitarsi non è la soluzione migliore per far dormire chi ti sta accanto. Si sveglia e cerca di tranquillizzarmi. Ma la mano sul petto, quando anche il lenzuolo è di pietra, peggiora la situazione. Mi rialzo, barcollo per la stanza, voglio aria, mi appoggio alla parete in cerca d’equilibrio mentre, come una mazzata, l’alta quota mi schiaccia i polmoni. Morirò in questa stanza? Penso di uscire sul terrazzo, ma è notte fonda e all’esterno la temperatura deve essere molto bassa. Rischio una inutile congestione, perché anche fuori c’è la stessa atmosfera.

Lei si sveglia del tutto e mi parla. Calma e tranquilla. Mi dice come anche a lei manchi il fiato e che a stare fermi si risparmia ossigeno. Mi parla piano e mi distrae, raccontandomi dei suoi problemi. Chiudo gli occhi e riesco ad addormentarmi, circa mezz’ora prima che suoni la sveglia.

Al mattino la conversazione nel gruppo, a colazione, poggia sul tema comune del mal di montagna; ha preso quasi tutti, con gli stessi sintomi. Io sto nella media: qualcuno è stato peggio di me.

Eppure a sera, nella piazza mal illuminata, due squadre di ragazzini, di età intorno agli otto anni, hanno dimesso le tute e, in calzoncini e maglietta, si sono affrontati in una gara di pallacanestro. A nascerci, o a starci un po’ di più, i globuli rossi aumentano e si sta meglio.

Camere, probabilità, combinazioni e vincoli sotto il Chimborazo.
Di tutto ci si può aspettare, ma una seconda notte accampati in camerate comuni, senza doccia né servizi per tutti, non si sopporta! L’ospitalità della comunità Indio di Palacio Real, il pranzo a base di Quinoa e carne di lama, la passeggiata alla scoperta delle piante da cui traggono sostentamento, i lama al guinzaglio, la tediosa lezione dentro al museo passano in secondo piano. Siamo stanchi e vorremmo camere e privacy per riposarsi.

Ma non si può: siamo ospiti di una comunità che ci offre il meglio di sé, troppo poco per noi.

Chi si ribella, chi tace, chi si sdraia, chi conta i letti ed i bagni: il caos prende corpo. L’ambiente è piccolo, pieno di tavoli, sedie, turisti sudaticci, zaini e valigie.

Si decide che è meglio arrivare ad un letto in breve: ma vi sono camere da 2, da 3, da 4, da 12 letti, alcune con bagno, altre senza, più una latrina esterna, poco adatta per chi assume diuretici.

Inoltre c’è chi preferisce dormire con alcuni invece che con altri; chi ha problemi fisici e chi è solo troppo stanco. Chi vuol stare e chi vuol andare verso un’altra meta. Troppi vincoli: le combinazioni sembrano impossibili, ma, ci si auto-organizza in un comitato spontaneo di tecnici. La libera iniziativa e la cultura accademica italiane danno il meglio di sé all’estero: un medico, un avvocato ed un fisico impugnano carta e penna e scrivono, cassano, riscrivono, riaccoppiano e limano. Infine habemus papam, si raggiunge un punto d’equilibrio. Le camere sono assegnate e ci si mette a tavola; con il sorriso sulle labbra, con una gentilezza spontanea, non forzata, alcuni degli ospiti, prima a stento salutati, ci ritemprano con una cena che forse non gustiamo appieno, se non per i loro sguardi ed i loro sorrisi. Tenerezza e forza trasmettono. Mamme con i bimbi al seno, la banda che suona per noi, il ballo completano l’accoglienza che ci hanno preparato. Sono felici di ospitarci.

Esco dalla porta e in alto, molto in alto, rischiarata dalla luna, la vetta innevata del Chimborazo sta, contro il cielo nero della notte, a coprire gran parte della vista verso sud. Ecco da dove prendono forza queste donne e questi uomini, bassi di statura, spettinati dal vento che viene dal vulcano.

Economia di sostegno ed economia di mercato, si trovano affiancate in questa zona delle Ande; la Comunidad Salinas de Guaranda organizza le coltivazioni, le industrie, il commercio; organismi internazionali trasportano in Europa i prodotti e li commercializzano; i negozi del commercio Equo e Solidale sono frequentati ed il maggior costo dei prodotti è riversato sui produttori, associati, appunto, nelle Comunidad. Questo permette a questi Quichua di avere un giusto salario e permettersi di destinare una quota ad opere sociali altrimenti carenti: strade, pronto soccorso, scuola.

L’esempio è ammirevole e lo sforzo enorme: si devono combattere i protezionismi e la xenofobia diffusi nel mondo occidentale. Non c’è equilibrio fra le nostre responsabilitàstoriche e le misure che adottiamo ora per lasciare piene le nostre pance.

Ma i risultati? Li abbiamo visti, ci sono. Non sono però estesi, la maggior parte del paese non gode degli stessi benefici. Allora non serve? Certo che serve: serve a queste persone, che ci accompagnano, che ci sorridono, che ci salutano da sotto i loro buffi cappelli. Non importa se non cambia tutto il mondo, è sufficiente che cambi un pezzettino, è sempre un risultato.

Quinoa e lombrichi. La quinoa si coltiva in alta quota; porta sia carboidrati che proteine alla dieta di queste popolazioni Quichua. I terreni sono vulcanici, con poca profondità. Il clima è rigido. Poche specie vi si adattano.

L’azoto di cui hanno bisogno le piante è fornito dalle concimaie casalinghe, arricchite dalla presenza di lombrichi rossi. Il lombrico, umillimo animale terricolo, è capace di modificare il paesaggio, come ebbe a descrivere anche Darwin. È in grado anche di modificare la struttura del terricciato, rendendolo più soffice. Con questo qui si concima. Il capo comunità ci mostra ed è fiero del proprio quaderno di campagna, che spaventa i nostri agricoltori di cultura occidentale. Una produzione che non li arricchisce, stanti le basse produttività della Quinoa, ma permette una vita dignitosa. Poco importa se i lombrichi rossi non sono proprio autoctoni. Creano un equilibrio fra parti solide, liquide e gassose del terreno, lo fertilizzano e contribuiscono alla riuscita della coltura.

Di vomito e balene: mal di mare. Il motoscafo fende l’onda, s’alza e s’abbatte sull’onda successiva: gli spruzzi ci bagnano. Mi piace: da giovane sono stato altre volte in barca e mi ricordo quei giorni. Osserviamo la superficie: qui, dai mari antartici, le balene vengono a partorire ed a crescere la prole prima di rimettersi in rotta verso i freddi, ma più pescosi mari australi.

Stiamo attenti ed infine il comandante riduce la velocità fino a fermarsi. Guardiamo: l’eccitazione è tale che, appena spunta una pinna, tutti ci rovesciamo verso un bordo dell’imbarcazione, facendola pericolosamente oscillare. Ci invitano a rispettare i posti assegnati. Guardiamo: escono dall’acqua con un ritmo lento, sbuffano getti di acqua espuma fino a dieci metri, inarcano la schiena e si rituffano verso il profondo mostrando la pinna caudale, bianca nella faccia inferiore. Mi mantengo in equilibrio abbracciando una struttura della barca e vedo l’enorme coda, come una vela, alzarsi e poi immergersi. Sono 4 o 5 megattere, nuotano in gruppo. Spariscono e poi riappaiono un centinaio di metri più in là.

La barca riprende il suo moto. A me vien fame e penso alle lasagne, ma per qualcun altro l’effetto è diverso: dallo stomaco, sale lentamente, come la marea, una sottile nausea, che ondeggia all’interno come quando si trasporta una boccia di vetro con un pesce rosso; un piccolo movimento che lentamente prende forza, con un ritmo costante e a cui non si resiste, nemmeno pensando ad altro, nemmeno figurandosi di essere ancora sulla spiaggia; tutto si muove e risale, il magma ribolle, finché un conato libera tutto il contenuto gastrico, mentre spasmi muscolari ed esofagei ti riempiono di dolori. Sembra passata, ma il mare è pieno d’acqua e l’acqua si muove e se si muove l’acqua si muove lo stomaco e di nuovo…

Occorre stare vicino a chi soffre così, ed uno dell’equipaggio ed una di noi soccorrono la vittima del disturbo, le fanno coraggio e cercano di evitare tracimazioni interne alla barca.

Le balene sono mammiferi e si ricordano dello spettacolo che abbiamo offerto al mattino:si sta in piedi a far foto, si traballa, poi si parte, poi si vomita… Riappaiono, quindi, durante la via del ritorno e ci seguono o ci precedono, ma sempre si alzano sull’onda con una cadenza ieratica che trasforma il loro moto in uno degli spettacoli più affascinanti da vedersi in queste acque. Per ricambiare offriamo ancora una replica di tutti in piedi, tutti seduti, tutti a far foto, tutti bagnati, tutti vocianti, e qualcuno reinterpreta anche la ben riuscita scena di vomito dell’andata.

Ma le balene, che meraviglia!

Fauna e flora: riserve e turismo. Il ballo della Sula dai piedi azzurri viene messo in scena dal maschio verso la femmina. Si muove alzando e mostrando fiero l’estremità palmata destra, poi la poggia e alza la sinistra. La femmina guarda distratta, poi intreccia il becco con il suo compagno emettendo suoni striduli. Devono, i due uccelli, definire il nido per deporre le uova, sotto il bosco scheletrito dalla stagione asciutta. Sull’isola del corsaro Drake, “Isla de la Plata”, vi sono migliaia di sule, a coppie, che stanno ferme e si fanno fotografare. Più avanti in un canalone le fregate piroettano in aria, si inseguono e si intrecciano, sembra che si scontrino e salgono, poi ridiscendono in picchiata sul mare per afferrare un pesce. Si posano su un albero e, i maschi, gonfiano il gozzo rosso scarlatto.

Centinaia, forse migliaia di uccelli che popolano questa riserva. Che ci facciamo noi? I turisti che frequentano questi luoghi non sono un disturbo per questo ambiente unico?

Io credo proprio di sì, ma credo anche che il metodo adottato qui, piccoli gruppi, guidati, sia un buon compromesso. Ci vuole qualcuno che viva l’emozione di questi incontri e di questi luoghi, per potersi impegnare, all’occorrenza, per salvare questi scampoli di natura dalla distruzione. Un giusto equilibrio fra turismo e natura.

Palafitte a Manabì. Le palafitte di Manabì sono il segno distintivo dell’architettura dei luoghi. Per lo più piccole e di legno, sono adagiate sulla pianura, isolate, a presidio del terreno della famiglia. Vi sono, qua e là anche alcune case in muratura, ma sono evidentemente fuori posto. Le palafitte non danno l’idea di ricchezza, al contrario. Gli attrezzi ed i beni ammucchiati intorno lasciano invece intendere una vita magra per gli occupanti. Poche piante: banani, platani, caffè, balsa. Non vi è differenza con altre zone agricole d’Africa o d’Asia. La terra a coltivarla esige sudore e fatica e rende poco.

Ma sulle pendici di colline scoscese le palafitte danno il meglio di sé, inerpicate ed instabili, su un terreno che è fango; sembrano perdere l’equilibrio da un momento all’altro e crollare a valle. Ma stanno lì, sapientemente ancorate al loro pezzetto di terra.

Scalette strette collegano la porta al terreno. Io non potrei calcare quegli esili gradini senza rischiare un capitombolo rovinoso.

L’amaca: cigola. Mi stendo sull’amaca, un’amaca ben fatta, robusta, pensata per turisti. È stata ben ancorata ai travi di legno della tettoia dell’hotel che ci ospita. Siamo di fronte all’Oceano Pacifico, alla baia di Puerto Lopez. Quando mi muovo il gancio d’acciaio stride contro il supporto. Non mi dà fastidio, ma lo stesso non accade ai vicini che tentano di giocare a carte.

Provo allora a spingere dolcemente l’amaca per ottenere un movimento leggero, tale da non agire sugli attacchi metallici. Forse ci riesco, e mi lascio cullare. Poi esagero e si risente lo stridio; qualcuno si gira e rallento. Cerco un equilibrio fra movimento e silenzio.

Il mare, la gente, le balene, uccelli, piante e profumi; i vulcani, gli strapiombi e le strade pericolosamente ripide, la cenere ed i ghiacci. Lama, pecore ed indio. Persone che mi stanno vicino. Tranquillo e russante mi addormento con il mio equilibrio nel mio ultimo pomeriggio in Ecuador.

 

Davide Tosi